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Onboarding o “come tenere i talenti in cassaforte”
Dai selfie di gruppo alla caccia al tesoro virtuale, un onboarding coinvolgente può essere la risposta creativa per abbattere il turnover.
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Già negli anni '90, ben prima di Mark Zuckerberg e Facebook, l'idea di una vita legata alla realtà virtuale faceva parte dell'immaginario collettivo, in maniera molto più simile all'attuale di quanto puoi immaginare
Chi vi scrive, da grande appassionato di tecnologia e innovazione, ha ancora ben in mente l’arrivo sul grande schermo negli anni 90 (più precisamente nel 1999) di alcuni film, che, con il senno del poi, avrebbero avuto molto a che fare con l’attuale modo di pensare la tecnologia.
Come spesso succede, anche un po’ per necessità di narrazione, sono rappresentazioni estreme ed estremizzate della realtà. Rimangono tuttavia portatori di temi che ancora oggi, a distanza di quasi 25 anni, sono facilmente condivisibili.
Il 1999 è stato l’anno di Il Tredicesimo Piano, eXistenZ e di quell’enorme colosso che sarebbe diventato Matrix; ma ancora prima di questi, gli anni ’90 hanno prodotto un film con pochi eguali nella storia cinematografica dello stivale: Nirvana (1997).
Racconti di mondi virtuali distopici, legati dalla narrazione per eccesso del rapporto tra uomo e tecnologia, la quale, nella maggior parte dei casi, lo schiaccia fino a ridurlo in schiavitù.
Siamo tutti d’accordo che siano trattazioni portate allo stremo del rapporto uomo-macchina; ma i temi discussi, come quello della dipendenza dalla tecnologia e dell’evoluzione dei rapporti interpersonali, non sono forse, oggi più che mai, attuali?
La possibilità di un ambiente virtuale immersivo condiviso era parte dell’immaginario collettivo già più di 25 anni fa, e il metaverso, inteso come esperienza digitale, era un’idea ben presente nella cultura popolare del tempo. A dir la verità, il termine risale a qualche anno prima dell’uscita dei film sopra citati. Lo sentiamo nominare per la prima volta nel testo “Snow Crash” di Neal Stephenson, dato alle stampe nel 1992 (leggetelo, è un consiglio spassionato!)
Mark, quindi, non ha inventato o promosso sostanzialmente nulla di nuovo (su Second Life avevamo le gambe sin dall’inizio), aveva bisogno di riposizionare i suoi figlioli (anche i social invecchiano, più di quanto pensiamo) e ha compiuto un salto quantico, forse troppo lungo, verso una tematica che prima o poi avremmo dovuto affrontare.
Prima di Meta, e in modo forse anche più interessante, abbiamo visto sviluppare altre ricerche ed esperienze di realtà virtuale; due in particolare ci offrono buoni spunti di riflessione.
Il primo di questi fu opera nondimeno che della NASA e fu un’esperienza completamente immersiva che consentiva di esplorare Marte con i piedi ben piantati sul suolo terrestre.
Il progetto è stato vincitore al Cannes Lion nel 2016, apprezzato in particolar modo per aver dimostrato il reale potenziale della realtà virtuale nell’ambito dell’educazione e della divulgazione scientifica.
Le grandi leve di quest’esperienza sono l’emotività generata dall’esperienza stessa e dalla relazione umana, quest’ultima sostenuta dalla condivisione della scoperta di un nuovo modo di apprendere.
Nello sviluppo del settore educativo, l’adozione della tecnologia VR potrebbe sicuramente portare grossi vantaggi. Anche Meta, sempre attento a ciò che smuove gli animi, sta dimostrando un elevato interesse nell’esperienza virtuale come forma d’apprendimento. Vi sarà capitato almeno una volta, scorrendo sui social, di imbattervi in qualche suo Advertising.
Per verificare la reale validità dei visori per la realtà virtuale, l’Università di Cambridge ne ha fatto testare l’utilizzo per un’intera settimana in ambito lavorativo. Il risultato mise in luce che, a conti fatti, l’aumento della produttività e della soddisfazione lavorativa sono bilanciati da un pesante affaticamento visivo e da un progressivo isolamento sociale.
Ne vale quindi realmente la pena? Tutti i grandi cambiamenti hanno bisogno di un periodo di adattamento. Ci troviamo nel mezzo di quella che potremmo definire una “rivoluzione tecnologica” e, come ogni rivoluzione, anche questa comporta un prezzo da pagare, con effetti che vedremo solo negli anni a venire.
Quando parliamo di presenza di grandi marchi nel metaverso non possiamo non fare riferimento al progetto NikeLand: collaborazione tra Nike e il gioco online Roblox.
Si tratta, sostanzialmente, di un grande parco giochi digitale, progettato per coinvolgere i consumatori del marchio facendoli interagire con Nike in modo diretto e ingaggiante attraverso una serie di azioni: partendo dalla personalizzazione di un avatar più o meno somigliante alla persona reale, proseguendo con l’acquisizione di power-up e concludendo con l’acquisto di NFT per il proprio personaggio corrispondenti a prodotti fisici.
Insomma, come futuro più prossimo del metaverso, Nike ha indicato quello del gaming; e la presenza di un pubblico attivo, spendente e fidelizzato, ci dice che la scelta del marchio è forse quella più giusta per i tempi che corrono.
Sulla scia di Nike, anche altri marchi: Ariana Grande con il suo Rift tour; Balenciaga e la sua presenza massiva su Fortnite; e tutte le aziende che hanno trovato la nuova “Second Life” in Decentraland e nella sua crypto mana.
Partendo da Matrix siamo arrivati ad Ariana Grande, un paragone da far accapponare la pelle ai più nerd di noi, tuttavia, non possiamo fare altrimenti se non raccogliere tutte le esperienze, in un momento storico in cui le potenzialità della tecnologia sono ancora materia per soli visionari.
L’esperienza insegna che, anche se si tenta di costruire un percorso già delineato fin dal principio, alla fine si è costretti a prendere strade che non ci si sarebbe mai immaginati di dover percorrere quando si è cominciato a camminare.
Pensate a come vedevano il metaverso negli anni ‘90, alle speranze riposte nei progetti, e confrontatele con la crisi di rigetto che abbiamo attualmente al pensiero di vivere (almeno noi boomer o millenial) in un mondo in cui le relazioni sociali sono completamente ridotte ai mondi virtuali.
I tempi sono sicuramente più maturi oggi che all’uscita di Second Life nel 2003, ma le perplessità, soprattutto quelle legate all’assenza di socialità, permangono fin dai primi esperimenti di metaverso. Sarebbe da ingenui affermare che il metaverso sia un’esperienza senza futuro, ma la tecnologia ha dei limiti, e i tentativi di ricalcare le dinamiche della realtà ne sono la prova.