Privacy, uno degli argomenti più dibattuti degli ultimi anni, fulcro di parecchie discussioni che comprendono frasi come “ci stanno spiando”, “mi ascoltano”, “dovresti coprire la fotocamera con lo scotch nero!”.
Affermazioni generate dal fatto che gli ADV dell’ultimo modello di aspirapolvere che hanno appena cercato sul Web compaiono ovunque: bacheche social, pagine e via dicendo, come in una puntata di Black Mirror (chi ha visto la sesta stagione non farà fatica a comprendere a quale episodio si fa riferimento).
Dovrebbe essere chiaro a tutti che non si tratti di spionaggio industriale, anche perché i telefoni di molti di noi non sono materiale poi così interessante.
Sono i famosi cookie, il primo bottone tappato sulla maggior parte dei siti e colonna portante del “digital marketing” fatto bene.
Ma la storia non è così semplice. C’è tutta una porzione di figure professionali a cui poco si pensa se non ne si conoscono ruoli e mansioni: i marketer, le cui sfide sono aumentate notevolmente da quando possiamo parlare di “marketing misurabile”.
Una professione in eterno conflitto. Se da una parte ci si confronta con responsabili della protezione dati che rifiutano qualsiasi tracciamento, compreso quello dei cookie tecnici per il salvataggio delle preferenze, dall’altra si rischia di imbattersi nel tracciamento non sicuro degli utenti “anonimizzati”.
Capite che, in una realtà sempre più orientata verso la garanzia della privacy online, la domanda più scontata è:
c’è ancora speranza per noi marketer?
Il nostro compito oggi è aiutarvi a comprendere meglio come orientarvi in questo mondo ibrido, a cavallo tra tecnologia e creatività, programmatori e direttori creativi.
Prendiamoci quindi un momento per esaminare il passato e immaginare il futuro.